martedì 4 giugno 2013

L'origine dell'ermetismo

Il termine, coniato da Francesco Flora nel 1936, rimanda ad una concezione mistica della parola poetica perché fa riferimento alla figura leggendaria e mistica di Ermete Trismegisto (Ermes il tre volte grandissimo) risalente al periodo ellenistico, al quale erano stati attribuiti testi filosofico-misterici e spirituali del II-III secolo d.C., che si ispirava all'antica sapienza egizia, celata nell'enigmatico linguaggio dei geroglifici.

Fonti di energia elettrica

Spesso con la locuzione "energia" + aggettivo si intende la fonte di energia attraverso quale è possibile una produzione di corrente elettrica.

Energia

Nella fisica classica l'energia è definita come la capacità di un corpo o di un sistema di compiere lavoro e la misura di questo lavoro è a sua volta la misura dell'energia. Dal punto di vista strettamente termodinamico l'energia è definita come tutto ciò che può essere trasformato in calore a bassa temperatura.
Il concetto di energia nasce, nella meccanica classica, dall'osservazione sperimentale che la capacità di un sistema fisico di sviluppare una forza decade quando il sistema stesso stabilisce un'interazione con uno o più sistemi mediante la stessa forza. In questo senso l'energia può essere definita come una grandezza fisica posseduta dal sistema che può venire "consumata" per generare una forza. Dal momento che l'energia posseduta da un sistema può essere utilizzata dal sistema stesso per produrre più tipi di forze, si definisce una seconda grandezza, il lavoro appunto, che definisce il consumo di energia in relazione al processo fisico mediante il quale la forza è stata generata.

giovedì 16 maggio 2013

modulo 7


Navigazione web e comunicazione, è diviso in due sezioni.
Per la prima sezione, Navigazione web, è necessario possedere conoscenze relative a Internet e saper utilizzare un browser web.
Ovvero:
• Comprendere cosa è Internet e quali sono i principali termini ad essa associati. Essere consapevole di alcune considerazioni di sicurezza durante l’utilizzo di Internet.
• Eseguire comuni operazioni di navigazione sul web, incluse eventuali modifiche alle impostazioni del browser.
• Completare e inviare schede basate su pagine web e ricerche di informazioni.
• Salvare pagine web e scaricare file dalla rete. Copiare il contenuto di pagine web in un documento. 
Per la seconda sezione, Comunicazione, è necessario comprendere alcuni dei concetti legati alla posta elettronica (e-mail), conoscere altre opzioni di comunicazione e alcune considerazioni legate alla sicurezza nell’uso della posta elettronica.
Ovvero:
• Comprendere cosa è la posta elettronica e conoscere alcuni vantaggi e svantaggi derivanti dal suo utilizzo. Essere a conoscenza di altre possibilità di comunicazione.
• Essere consapevole della netiquette e delle considerazioni di sicurezza da tenere presenti quando si utilizza la posta elettronica.
• Creare, effettuare un controllo ortografico e inviare dei messaggi di posta elettronica. Rispondere e inoltrare messaggi, gestire file allegati e stampare un messaggio di posta elettronica.
• Conoscere i metodi che consentono di migliorare la produttività utilizzando dei programmi di posta elettronica. Organizzare e gestire i messaggi di posta elettronica.

Le regole più importanti della netiquette


1. Quando si arriva in un nuovo newsgroup, forum o in una nuova lista di distribuzione via posta elettronica (mailing list), è bene leggere i messaggi che vi circolano per almeno due settimane prima di inviare propri messaggi in giro per il mondo: in tale modo ci si rende conto dell'argomento e del metodo con cui lo si tratta in tale comunità.
2. Leggere sempre le FAQ (Frequently Asked Questions) relative all'argomento trattato prima di inviare nuove domande.
3. Se si manda un messaggio, è bene che esso sia sintetico e descriva in modo chiaro e diretto il problema.
4. Non usare i caratteri tutti in maiuscolo nel titolo o nel testo dei tuoi messaggi, nella rete questo comportamento equivale ad "urlare" ed è altamente disdicevole.
5. Non divagare rispetto all'argomento del newsgroup o della lista di distribuzione; anche se talvolta questo comportamento è accettato o almeno tollerato aggiungendo il tag [OT] (cioè Off Topic che significa "fuori argomento") nell'oggetto del proprio messaggio.
6. Se si risponde ad un messaggio, evidenziare i passaggi rilevanti del messaggio originario, allo scopo di facilitare la comprensione da parte di coloro che non lo hanno letto, ma non riportare mai sistematicamente l'intero messaggio originale. Fare questo, in gergo, si dice Quotare.
7. Non condurre "guerre di opinione" sulla rete a colpi di messaggi e contromessaggi: se ci sono diatribe personali, è meglio risolverle via posta elettronica in corrispondenza privata tra gli interessati.
8. Non pubblicare messaggi stupidi o che semplicemente prendono le parti dell'uno o dell'altro fra i contendenti in una discussione.
9. Non pubblicare mai, senza l'esplicito permesso dell'autore, il contenuto di messaggi di posta elettronica o privati.
10. Non iscriversi allo stesso gruppo con più nicknames e/o profili (morphing): in molti gruppi è considerato un comportamento riprovevole in quanto genera il sospetto che si tenti di ingannare gli altri utenti sulla propria vera identità.
11. Non inviare tramite posta elettronica messaggi pubblicitari o comunicazioni che non siano stati sollecitati in modo esplicito.
12. Non essere intolleranti con chi commetta errori sintattici o grammaticali. Chi scrive è comunque tenuto a migliorare il proprio linguaggio in modo da risultare comprensibile alla collettività.


martedì 14 maggio 2013

DNA

I cromosomi sono lunghe molecole di una particolare sostanza, l'acido desossiribonucleico (DNA), la cui struttura costituisce il "codice della vita", responsabile di tutte le informazioni ereditarie.

Il DNA ha la struttura di una lunga catena formata da due filamenti avvolti su se stessi a doppia elica: possiamo paragonarla a una scala a pioli avvolta a spirale, come fu identificata per la prima volta dagli scienziati James Watson e Francis Crick nel 1953.


Il DNA è costituito da:



  • zuccheri (zucchero desossiribosio)
  • acido fosforico
  • basi azotate (adenina, timina, citosina, guanina)
Ciascuno piolo è quindi formato da 2 basi azotate legate fra loro; l'unione fra queste basi avviene sempre e solo fra adenina e timina (A-T) e fra citosina e guanina (C-G).

martedì 7 maggio 2013

Sondaggio

Ragazzi Libri Letti Colore Preferito Media Voti Scuola Numero DI Scarpe




Abrami Fabio 45 Rosso 9 42





Abrami Martina 100 Verde 8 40




Barchetti Arianna 10 Azzurro 6 40





Basocu Federica 10 Verde Acqua 7 37





De Santis Marco 7 Verde 6 42



Ercoli Maria Chiara 50 Verde Lime 9 36





Fiocchi Lorenzo 20 Blu 7 41





Fuga Shanti 9 Viola 6 39




Galloppa Letizia 13 Celeste :6 41





Marini Cristiano 18 Giallo 7 41




Meo Riccardo 32 Blu 8 39




Moretti Arianna 1 Rosa 4 37





Paolini Luca 15 Giallo 8 39



Papetti Maria Elisa 13 Celeste 6 40




Ravanesi Ester 16 Celeste 6 40





Cheema Sarabjit 5 Bianco&Nero 6 42





Percentuali                                                                                                   

giovedì 25 aprile 2013

Trieste


La città è situata nell'estremo nord-est italiano, vicino al confine con la Slovenia, nella parte più settentrionale dell'Alto Adriatico e si affaccia sull'omonimo golfo. Il territorio cittadino è occupato prevalentemente da un pendio collinare che diventa montagna anche nelle zone limitrofe all'abitato; si trova ai piedi di un'imponente scarpata che dall'altopiano del Carsoscende bruscamente verso il mare. Il monte Carso, a ridosso della città, raggiunge la quota di 458 metri sul livello del mare. Il comune di Trieste è diviso in varie zone climatiche a seconda della distanza dal mare o dell'altitudine.
Al di sotto delle arterie stradali cittadine scorrono corsi d'acqua che provengono dall'altopiano. Liberi un tempo di scorrere all'aperto, da quando la città si è sviluppata, a partire dalla seconda metà del Settecento, vennero incanalati in apposite condutture ed ancora oggi percorrono i sotterranei delle odierne via Carducci (precedentemente via del Torrente, appunto), via Battisti (ex Corsia Stadion),viale XX Settembre (ex viale dell'Acquedotto), via delle Sette fontane o piazza tra i Rivi. A sud della città scorre il Rio Ospo che segna il confine geografico con l'Istria[9]. Inoltre l'attuale zona cittadina compresa tra la stazione ferroviaria, il mare, "via Carducci" ePiazza della Borsa, il Borgo Teresiano, venne edificata nel XVIII secolo dopo l'interramento delle precedenti saline per ordine dell'Imperatrice Maria Teresa d'Austria.







Le foibe di Basovizza


Almeno diecimila persone, negli anni drammatici a cavallo del 1945, sono state torturate e uccise a Trieste e nell'Istria controllata dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito. E, in gran parte, vennero gettate (molte ancora vive) dentro le voragini naturali disseminate sull'altipiano del Carso triestino ed inIstriale "foibe".
La Foiba di Basovizza, dichiarata monumento nazionale nel 1992, è il simbolo di tutte le atrocità commesse sul finire della seconda guerra mondiale e negli anni successivi dalle milizie e dai fiancheggiatori del dittatore comunista Tito.


At least ten thousand people, in the dramatic years at the turn of 1945, were tortured and killed in Trieste and Istria controlled by the Yugoslav Communist partisans of Tito. And, for the most part, were laid (many still alive) inside the natural pits scattered on the plateau of the Carso and Istria, the "sinkholes".


The Cave of Basovizza, declared a national monument in 1992, is the symbol of all the atrocities committed at the end of World War II and in later years by the militias and supporters of the Communist dictator Tito.









Le grotte di Postumia

Le Grotte di Postumia (Postojnska jama), un intrecciarsi di 20 chilometri di gallerie e sale con concrezioni calcaree, in 188 anni sono state visitate da più di 31 milioni di visitatori, accompagnati da guide esperte. Si tratta della più grande cavità del Carso classico e allo stesso tempo anche la più visitata grotta turistica d’Europa. Nel 1872 nelle grotte vennero collocati i binari, e nel 1884 fu introdotta l’elettricità. Così oggi le grotte si visitano, nella parte iniziale, con un trenino elettrico e grazie all’illuminazione elettrica potrete ammirare la grandezza e la grandiosità del mondo sotterraneo, dove la storia geologica si legge in una chiave diversa. Allo sguardo del visitatore nelle Grotte di Postumia si offreunastraordinaria ricchezza di concrezioni calcaree, di sedimenti di calcite, stalagmiti e stalattiti di varia forma, colore e età. La temperatura stabile nelle grotte `e tra gli 8 e 10°C.


Postojna caves (Postojna Cave), a network of 20 kilometers of tunnels and rooms with calcareous concretions, in 188 years they have been visited by more than 31 million visitors, accompanied by expert guides. It is the largest cave in the Classical Karst and at the same time also the most visited show cave in Europe. In 1872 the rails were placed in caves, and in 1884 was introduced to electricity. So today you can visit the caves, at the beginning, with an electric train and thanks to electric lighting can admire the greatness and grandeur of the underworld, where the geological history is written in a different key. At the visitor's gaze in Postojna Cave is offreunastraordinaria wealth of calcareous concretions, calcite sediments, stalagmites and stalactites of various shapes, color and age. The stable temperature in the caves is between 8 and 10 ° C.








Questo animaletto dalla pelle rosata, che da adulto raggiunge la lunghezza di 25-30 cm, è simile a una sinuosa lucertola anguilliforme.
Il corpo è cilindrico, caratterizzato da 25-27 solchi dorsali e da una coda compressa lateralmente, con doppia carenatura. Le zampette sono molto piccole e decisamente sproporzionate rispetto al resto del corpo, presentando inoltre tre 'dita' per quelle anteriori e due per le posteriori.
Il proteo dispone di branchie, caratteristica che compare nello stato larvale e che permane per tutta la vita: infatti esso, durante lo sviluppo, non compie metamorfosi come la maggior parte degli anfibi (neotenìa).
È praticamente cieco, poiché gli occhi sono coperti dalla pelle e non si sviluppano: d'altronde, il senso della vista non gli sarebbe di grande utilità, visti gli ambienti in cui vive.






Il castello di Miramare

Il Castello di Miramare, circondato da un rigoglioso parco ricco di pregiate specie botaniche, gode di una posizione panoramica incantevole, in quanto si trova a picco sul mare, sulla punta del promontorio di Grignano che si protende nel golfo di Trieste a circa una decina di chilometri dalla città.
Voluto attorno alla metà dall’Ottocento dall’arciduca FerdinandoMassimiliano d’Asburgo per abitarvi insieme alla consorte Carlotta del Belgio, offre la testimonianza unica di una lussuosa dimora nobiliare conservatasi con i suoi arredi interni originari  
 Miramare Castle is surrounded by a flourishing park full of precious botanic species, and has a charming panoramic view, given its location on a cliff high above the sea. It stands on the peak of the rocky promontory of Grignano in the Gulf of Trieste, and is about 10 km from the city itself.
Commissioned in the second half of the 19th century by the ArchdukeFerdinand Maximilian of Hapsburgas a residence for himself and his wife,Charlotte of Belgium, the castle offers today's visitors an example of a luxurious aristocratic residence which has preserved its original furnishings 
   













giovedì 11 aprile 2013


La musica della Cina


Nell’antica Cina la musica era considerata arte destinata a perfezionare l’educazione dei giovani. La musica non solo aveva funzione didattica ma veniva investita di significati metafisici; era infatti considerata parte di un complesso sistema cosmologico e dalla sua perfetta esecuzione si faceva derivare il delicato equilibrio fra il Cielo e la Terra, e quindi, per estensione, la stabilità dell’Impero.

Nel Liji "Memoriale dei riti", il sistema musicale cinese viene spiegato in base a 5 gradi fondamentali denominati gong (palazzo), shang (deliberazione), jiao (corno), zhi (prova), yu (ali) e viene fatto corrispondere ad altri "gruppi di cinque", fattori costitutivi e caratterizzanti la vita cosmica e umana. Così, per esempio, secondo tale sistema filosofico-musicale, la nota fondamentale gong (fa) corrisponde all’elemento terra, al punto cardinale centro, al colore giallo, al sapore dolce, al viscere cuore, al numero cinque, alla funzione imperatore ecc. Analogamente la nota shang (sol) rappresenta i ministri; la nota jiao (la) rappresenta il popolo; la nota zhi (do) e yu (re) rappresentano rispettivamente i servizi pubblici e l’insieme dei prodotti; oltre, naturalmente, a ulteriori parallelismi tra ciascuna nota e un elemento, un punto cardinale ecc.

La valenza magica attribuita ai suoni, le loro correlazioni cosmologiche e filosofiche possono spiegare certe peculiarità della musica cinese tradizionale; la sua lentezza e il suo mettere in evidenza la materialità di ciascun suono, come fonte di meditazione filosofica.

Il do, come dominante in una composizione musicale, stava a indicare che il pezzo era stato composto per cerimonie sacrificali dedicate al Cielo, mentre la nota re veniva impiegata nelle celebrazioni che riguardavano gli antenati e la primavera. Il sol poteva riferirsi soltanto a brani che concernevano la terra, mentre il la celebrava l’equinozio d’autunno, l’imperatrice e la luna.


Il sistema musicale cinese

Il sistema musicale cinese e i vari problemi tecnici a esso inerenti (temperamento della gamma, natura dei modi ecc.) è stato spiegato in diversi trattai, taluni molto antichi. Alcuni di essi come il Lülü Xinshuo (Nuovo trattato dei Lü, sec. XII) oppure il Lülü Qingyi (Il trattato dei Lü, sec. XVI), descrivono la determinazione del suono fondamentale da cui deriverebbero tutti gli altri. Il suono fondamentale è prodotto da una specie di flauto, ricavato da una canna di bambù lunga circa nove pollici; l’altezza del suono secondo alcuni studiosi si avvicinerebbe al mi3, secondo altri al Fa3. Da esso hanno origine, per progressione delle quinte, gli altri suoni (lü) che sono complessivamente 12, con nomi anch’essi avocanti per lo più un parallelismo con il mondo naturale. Dalla scala dei lü ha origine la scala pentatonica, base del sistema musicale cinese. Verso il 1000 a.C. entrò in uso anche una scala eptatonica, che si formò aggiungendo due note alla gamma pentatonica: il biangong e il bianzhi (bian=mutare). Ma la scala pentatonica fu sempre in Cina la più importante e la più usata (soprattutto per le musiche popolari), tanto da essere definita "cinese" per antonomasia. Trasportando sui ogni grado della scala dei lü la scala ottenuta partendo da ciascuna nota della gamma pentatonica, si ottengono, almeno teoricamente, 60 sistemi modali. Secondo la maggioranza degli studiosi, nell’antica musica tradizionale cinese non furono mai adoperati tutti quanti.

Nell’antica Cina, la musica ebbe un posto di notevole importanza, non solo nelle cerimonie religiose e civili ma anche nel ruolo educativo dei giovani. Nel "Memoriale dei riti" vi è un capitolo intero di notevole estensione sulla musica. Tra l’altro vi si afferma: "la musica nasce nel cuore dell’uomo. Quando il cuore è commosso da cose esterne, la sua emozione si traduce con il tono della voce".

Un noto proverbio cinese dice: "Se vuoi sapere se un Paese è ben governato, ascolta la musica". Leggendo i libri classici cinesi si può notare come la musica dei tempi leggendari appare divisa in due filoni orchestrali. Uno intimamente legato alla vita della corte imperiale con un’orchestra formata da Sheng (una specie di organo a bocca), da Qin (un salterio da tavola con 7 note) e altri strumenti per accompagnare il canto. Il secondo filone, invece, formato da complessi musicali con strumenti come tamburi, campanelli, cimbali che accompagnavano alcuni aspetti della vita religiosa e militare.

Sotto la dinastia Tang (618-907 d.C.), in conseguenza dei contatti avuti con i popoli dell’India, della Mongolia e del Tibet, il patrimonio strumentale e musicale cinese si arricchisce in modo notevole. Tuttavia solo con le dinastie Song del Nord e del Sud, la musica classica cinese raggiunge il suo apogeo. Nel periodo Ming (1368-1644), la musica strumentale, soprattutto nelle esecuzioni del Qin, raggiunge virtuosismi difficilmente superabili.
Dopo le tristi vicende della seconda guerra mondiale e la costituzione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 ad opera di Mao, l’interesse per la musica tradizionale è rinato.


Strumenti della musica tradizionale cinese

Gli strumenti musicali cinesi, alcuni con una storia di oltre tremila anni, si ritrovano, con piccole o grandi modifiche, in quasi tutti i Paesi dell’Asia meridionale e del Giappone. Presentiamo alcuni di questi strumenti che sono di uso comune sia nei concerti come nella musica di accompagnamento dell’Opera di Pechino o del teatro classico.

Strumenti ad arco


Nella musica popolare cinese esistono diversi strumenti cordofoni, cioè dotati di corde, classificati come "liuti ad arco". I liuti cinesi a differenza di quelli europei sono spesso puntuti: hanno una parte appuntita che sporge nella sezione inferiore della cassa e hanno un manico lungo.

Erhu: è il conosciutissimo violino a due corde, come dice il nome cinese. Ha una cassa di risonanza costruita in legno di sandalo rosso coperta solitamente con pelle di serpente o di altri rettili. Viene suonato con un arco diritto, molto simile a quello del nostro violino, fornito di crini di cavallo che vengono però inseriti sotto le corde dello strumento

Jinghu: un altro tipo di violino usato come strumento principale nella musica dell’Opera di Pechino. molto piccolo, quasi la metà dell’erhu, ha il risuonatore cilindrico rivestito di pelle di serpente o di rettile e il manico o collo, in bambù. Contrariamente al suo formato ridotto il Jinghu possiede un suono di volume sorprendente. Nell’Opera di Pechino ha la funzione di accompagnare il canto.

Sihu: violino identico nella struttura, nel materiale e nella forma all’erhu, eccetto il fatto di essere dotato di quattro corde invece di due.

Banhu (板胡, pinyin: bǎnhú) : fa parte della famiglia degli huqin. E' usato principalmente nella Cina settentrionale. Ban significa asse di legno e hu è l'abbreviazione di huqin.
Come i più conosciuti erhu e gaohu, il banhu ha due corde, viene tenuto verticalmente, e i crini passano tra le due corde. Il banhu differisce nella costruzione dall'erhu per il fatto che la cassa di risonanza è fatta in genere da una noce di cocco e invece di una pelle di serpente, comunemente usata per coprire la superficie degli strumenti huqin, il banhu usa una sottile lamina di legno.Il banhu è talvolta chiamato banghu, perché spesso usato nell'opera bangzi della Cina settentrionale.

Strumenti a pizzico

Appartengono alla famiglia dei cordofoni come i precedenti, ma vengono suonati non per mezzo di archetti ma pizzicando le corde con le dita o con il plettro.

Pipa: il più popolare e conosciuto tra i liuti a pizzico della musica cinese. Il manico è il prolungamento della stessa cassa di risonanza. Ha un fondo panciuto che ricorda i nostri liuti del Rinascimento ed è fornito di testatura, cioè di ponticelli che sorreggono quattro corde di seta (nelle versioni moderne di metallo argentato) sul manico e sulla tavola. Quattro sottili piroli, ai lati nella parte alta del manico, mantengono tese le corde.


Yueqin: è la vera chitarra luna nella forma originale. Si tratta di uno strumento a tre corde, con corpo perfettamente rotondo e piatto, unito a un collo corto.

Ruan (阮), chiamato anche qin pipa (秦琵琶) e ruanxian (阮咸): chitarra a quattro corde. Attualmente è usata nella musica popolare cinese, per a solo e nelle orchestre. Nella cassa di risonanza vi sono due fori rotondi che si aprono sulla faccia superiore. Si tratta di una chitarra baritono.

Sanxian: liuto a tre corde dal collo lungo. Ha la cassa di risonanza formata da un cerchio ovale il legno ricoperto nelle due facce, anteriore e posteriore, di pelle di rettile, solitamente serpente.


Le cetre (strumenti senza manico le cui corde sono tese su tutta o quasi la lunghezza della cassa): le principali sono il qin e il zheng.

Qin: è tra gli strumenti cinesi il più studiato, in Cina e all’estero. Ha una cassa costituita da due tavole di legno, una superiore arcuata e una inferiore piatta. Inizialmente suonato sulle ginocchia, fu poi posato su di una tavola. Ha un unico ponticello che regge le sue 7 corde, tradizionalmente di seta. Si suona a pizzico con la punta delle dita e il pollice o con il plettro.


Zheng: è una cetra a ponticelli mobili con 13 corde. Le corde, tese su tutta la lunghezza della cassa di risonanza, passano su singoli ponticelli che l’interprete può spostare leggermente. Le dita della mano destra pizzicano le corde a destra dei ponticelli; l’appoggio della mano sinistra sulla parte libera della corda, a sinistra dei ponticelli, permette di fare vibrare e alzare l’intonazione della nota. Deriva dalla cetra se (a 25 corde, non più in uso) e viene talvolta definita una sua versione più piccola.
Nell’antichità la tecnica di esecuzione si distingueva nettamente dalle altre cetra per via del bastoncino che percuoteva le corde.


Strumenti a fiato

Nella famiglia degli aerofoni, cioè di quelli strumenti il cui suono è prodotto dalle vibrazioni dell’aria, i più usati nelle orchestre di musica tradizionale cinese sono i flauti, le zampogne e gli organi a bocca.

Xiao: flauto diritto che vanta un’antichità di circa 3000 anni. Sotto le dinastie dei Sui (589-618) e dei Tang (618-907) era lo strumento principale dell’orchestra. Da due secoli i più famosi Xiao sono prodotti a Yubing nel Guizhou, ove esiste un particolare bambù che permette la costruzione di flauti dal timbro eccezionale, inalterabili nel tempo e inattaccabili dagli insetti. Approfondisci.


Dizi: flauto traverso, è popolarissimo in Cina sia come strumento per a solo che come parte integrante di orchestre. Per moltissimo tempo costituì l’accompagnamento principale dell’Opera di Pechino. Formato da un pezzo di bambù con otto fori. ha il secondo foro coperto da un tessuto vegetale che rende il suo suono particolarmente dolce.

Suona: solitamente chiamato oboe cinese, ad ancia doppia, in realtà è una zampogna spesso usata per a solo, raramente per accompagnare il canto. Formato da un corpo centrale in legno duro, sagomato ad anelli, negli avvallamenti dei quali sono stati fatti otto fori. Il suona è simile a molte zampogne indiane e turche. Produce un suono forte e squillante.

Sheng: si tratta di un organo a bocca formato da un minimo di 14 e un massimo di 32 canne di bambù, ciascuna delle quali ha un foro. Le canne di differente lunghezza sono poste sopra un contenitore di metallo. Il suono si ottiene soffiando aria nel serbatoio-contenitore e regolando l’emissione nelle varie canne mediante i fori coperti dalle dita.
Vedi http://www.ksanti.net/free-reed/history/sheng.html

Hulusi (葫芦丝)葫芦丝): solitamente chiamato oboe cinese, ad ancia doppia, in realtà è una zampogna spesso usata per a solo, raramente per accompagnare il canto. Formato da un corpo centrale in legno duro, sagomato ad anelli, negli avvallamenti dei quali sono stati fatti otto fori.


Strumenti a percussione

Sono i più numerosi e forse i più antichi costruiti dall’uomo. Nella musica tradizionale cinese vi sono molti strumenti a percussione, dalle numerose campanelle in legno o metallo, ai cimbali, ai diversi tipi di tamburi fino al notissimo gong.

Ban: è lo strumento che segna il tempo nell’Opera di Pechino. I tre pezzi di legno simili alle nostre castagnette sono impugnati dallo stesso suonatore che batte con la destra il piccolo tamburo. Nella nostra orchestra gli orchestrali seguono il tempo osservando il direttore che lo indica con la mano o la bacchetta, in quella cinese i suonatori "sentono" il tempo scandito dal ban.

Xiaogu: il piccolo tamburo è formato da cerchi di legno ricoperti di pelle di maiale. Solitamente è appeso con delle corde a un traliccio di legno. Quando le castagnette (ban) sono coperte dal suono dei cimbali o da altri strumenti molto sonori, il compito di far sentire il tempo passa al piccolo tamburo (xiaogu).

Dagu: il grande tamburo, costruito come il piccolo tamburo ma coperto di pelle bovina, viene impiegato nel teatro o nell’orchestra per creare il rumore della battaglia.

Daluo: è il notissimo disco di metallo (gong). È diventato quasi il simbolo dell’Oriente perché è lo strumento più suonato. Il daluo (grande gong) è usato nelle cerimonie, nelle feste e soprattutto nell’Opera di Pechino ove, con il suo suono, indica l’inizio o la fine di un passaggio musicale nel recitato, l’ingresso o l’uscita di scena di un personaggio maschile o per sottolineare i gesti comici di un attore.

Xiaoluo: il piccolo gong viene invece usato nell’Opera di Pechino per marcare l’ingresso in scena di un personaggio femminile (dan). Le sue dimensioni si aggirano sui venti cm di diametro.

Jiuyunluo: si tratta di un carillon di gong, sospesi a un supporto di legno.

Sempre a questo gruppo appartiene il carillon di campane o di pezzi di pietra (litofono) che in Cina solitamente è giada. Il gruppo di gong, di campane o di pietre viene suonato con martelletti, o mazzuoli, di legno coperti di feltro.

Nao: assomigliano moltissimo ai nostri piatti eccetto che per alcune varianti della forma. Tutti sono di ottone e vengono suonati facendoli battere o sfregare tra loro.

La musica dell'Africa

 La musica africana, nel senso di musica originaria dell'Africa, è estremamente eterogenea, in quanto riflette la varietà etnica, culturale e linguistica del continente. L'espressione "musica africana" viene talvolta usata anche in modo più specifico per riferirsi alla musica dell'africa subsahariana, essendo la tradizione musicale del Nordafrica essenzialmente sovrapponibile a quella mediorientale. Elementi mediorientali si trovano anche nella musica dei popoli della costa est del continente, che risente anche di influenze indiane, persiane e in generale degli effetti degli scambi commerciali e culturali sull'Oceano Indiano. In ogni caso, anche all'interno di queste tre aree principali (Nordafrica, Africa subsahariana, Africa orientale) esiste una grandissima diversificazione degli stili sia della musica etnica tradizionale che della musica moderna. Quest'ultima risente praticamente ovunque (ma soprattutto nei paesi con una forte eredità coloniale) dell'influenza della musica leggera europea e statunitense. D'altra parte, la diaspora africana e il conseguente diffondersi in America ed Europa della tradizione musicale africana ha influito in modo determinante sullo sviluppo della musica leggera occidentale.
Nell'Africa subsahariana la musica e la danza sono quasi sempre elementi centrali e fondamentali della cultura dei popoli, e sono dotati di grande valore sociale e religioso. Ogni etnia ha una propria tradizione musicale così come ha una propria tradizione letteraria e un proprio insieme di regole e credenze; ogni gruppo sociale possiede un repertorio musicale di riferimento e dei sottogeneri appropriati a determinate celebrazioni (per esempio nascita, passaggio all'età adulta, matrimonio, funerale) o anche semplicemente attività quotidiane come il raccolto nei campi e lo smistamento delle riserve alimentari.
Ciò che ritroveremo sempre in ogni variante musicale, a prescindere dallo scopo per cui viene prodotta, è la caratteristica poliritmia, la capacità cioè di sviluppare contemporaneamente diversi ritmi e di mantenerli in modo costante ed uniforme, senza che uno prevarichi su di un altro. Una particolare funzione sociale è rappresentata dalle percussioni e dalle campane che in molte zone vengono utilizzati come strumenti di comunicazione. La musica è, ad esempio, una delle pratiche più note e più impiegate per un griot ( o griotte) proprio perché in molti contesti le relazioni sono spesso basate sull’impatto emozionale. Anche il canto è molto diffuso e riveste una funzione sociale importantissima, durante i funerali, ad esempio, per ripercorrere le tappe dell’esistenza del defunto, dunque mantenerne viva la memoria e per narrare le imprese degli antenati cui spetta il compito di accogliere l’anima della persona mancata. Le epopee mitiche cantate dai griot, oltre a mettere in evidenza il potere costituito, trasmettono gli avvenimenti particolari che fanno parte della storia di una comunità e permettono una trasmissione facilitata proprio dal ritmo della melodia sottostante. Il canto, la musica e la danza diventano da un lato veicoli di tipo simbolico e dall’altro preziosi strumenti della memoria collettiva. La musica tradizionale si trasmette oralmente, dunque non esistono spartiti o forme scritte in cui è possibile rinvenire delle melodie. Tutto viene creato e comunicato direttamente ed è per questo che un aspetto importantissimo è dato dall’improvvisazione.
La complessità ritmica delle musiche africane si è di fatto trasferita a molte espressioni musicali dei paesi dell’America Latina; l’aspetto più affascinante di questa poliritmia è costituito dalla possibilità di distinguere chiaramente i diversi ritmi pur percependoli unitariamente in modo coerente. Per quanto riguarda la voce, è interessante notare che generalmente si utilizzano timbri canori tendenti al rauco e al gutturale. Molte lingue locali, in Africa, sono di tipo tonale ed è per questo che esiste un collegamento molto stretto tra la musica e la lingua. Soprattutto nel canto, è il modello tonale del testo che condiziona la struttura melodica. Conoscendo molto approfonditamente queste lingue, è possibile riconoscere dei testi anche nelle melodie degli strumenti ed è quest’effetto che ha dato fama al cosiddetto “tamburo parlante”.la musica africana è piena di ritmi.




In Africa, la musica tradizionale è caratterizzata proprio dall’utilizzo di particolari strumenti musicali, spesso prodotti con materiali naturali come zucche, corna, pelli, conchiglie anche se attualmente è in uso una vasta tipologia di materiali artificiali, perlopiù in alluminio o in metallo come lattine, stringhe, tappi di bottiglia, bidoni.
Oltre agli strumenti in senso proprio, troviamo una serie di oggetti che pur non essendo classificabili come strumenti, vengono di fatto suonati e definiti da queste stesse popolazioni come "strumenti ritmici", vale a dire: sonagli, pendagli, fischietti, bracciali, conchiglie etc. Fra di essi uno dei più antichi fu l'arco, che oltre alla funzione di arma, nel caso dei Boscimani, grazie alla corda pizzicata o toccata, amplificata da vasi di legno o zucche vuote posti all'estremità, assunse anche il ruolo di strumento.[4]
In etnomusicologia, generalmente si suddividono gli strumenti musicali in quattro grandi categorie:
  • IDIOFONI
Il suono è prodotto dallo strumento stesso senza particolari ausili o supporti
  • MEMBRANOFONI
Il suono è prodotto da una o più membrane che vengono battute con le mani o con bastoni affusolati
  • CORDOFONI
Il suono è prodotto da corde, in cuoio o in nylon, che vengono pizzicate
  • AEROFONI
Il suono è prodotto dal fiato del musicista e canalizzato dallo strumento stesso

La musica del Giappone

In base alle testimonianze archeologiche, esisteva nell’antico Giappone una prassi musicale dal III secolo a.C. I primi incontri con musiche straniere o continentali sono con quelle che provengono dalla Corea (435 d.C.) e con lo shomyo, il canto buddista. Durante il periodo Nara (710-748) si stabilizzano i fondamenti teorici, attraverso l’adattamento di pratiche religiose e cortigiane straniere e la prima elaborazione dell’alfabeto giapponese, sul modello di quello cinese.

L’insieme di pratiche della religione giapponese antica viene definita Shintoismo – da shin-to, “via degli dèi” – a partire dal VI secolo d.C. per distinguerlo dalla religione buddista, che iniziava all’epoca a infiltrarsi nella cultura religiosa locale fino a fondersi con essa, e dall’influenza di confucianesimo e del taoismo. Fino a quel momento conglomerato di credenze e di divinità locali (dèi della natura, spiriti dei defunti, per cui venivano compiuti riti per placarne le forze) senza nessuna tendenza unificatrice, è basata sull’adorazione di divinità che sono spiriti naturali o presenze spirituali (kami), guardiani di un luogo particolare, oppure specifico oggetto o elemento naturale.

La musica classica giapponese è basata su due modi: ryo e ritsu. La musica di corte è chiamata Gagaku (“musica elegante”), e presenta gli stessi caratteri utilizzati dalla musica imperiale in Cina (yen yueh) e in Corea (aak). I generi della musica giapponese sono classificabili secondo due criteri: le origini storiche o la prassi esecutiva.

In base alla classificazione per periodi abbiamo due generi principali: il togaku, originario dell’India e della Cina, e il komagaku, che proviene invece dalla Corea e dalla Manciuria. Essi restano, non ostante la presenza di repertori di altre regioni come il Sud Est asiatico, e di musiche autoctone, le due nozioni di base per ogni analisi del materiale e delle prassi esecutive.

Termini fondamentali dell’esecuzione del gagaku sono il bugaku, musica che accompagna la danza, e il kangen, musica puramente strumentale. La musica vocale si individua attraverso il genere specifico del brano eseguito. La strumentazione consta di hiciriki, ad ancia doppia, e sho, organo a bocca di 17 canne di bambu raccolte in un serbatoio d’aria. Lo sho produce un grappolo di suoni, sopra le note fondamentali della melodia, benché in origine esse potessero essere prodotte separatamente.

Il ryuteki è la melodia eseguita dal flauto nel togaku, mentre nel komogaku essa è chiamata komabue. Se nel gagaku viene usata una melodia scintoista, si usa il flauto kagurabue, che differisce per dimensioni e intonazione. I principali strumenti a percussione sono il gaku-daiko, un grande tamburo a barile, e il shoko, un piccolo gong. Colui che dirige nel togaku usa un piccolo tamburo a barile (kakko) con due bacchette, nel komagaku un tamburo più grande a forma di clessidra (san no tsuzumi), percosso su un solo lato con una bacchetta.

Cetra su tavola e liuto eseguono solo brevi melodie stereotipe che hanno unicamente la funzione di scandire il tempo, come per il tamburo grande e il piccolo gong. La più antica scrittura musicale giapponese arrivata a noi è costituita da un frammento di notazione per liuto, ritrovato nella camera del tesoro Shosoin (VIII sec d.C.), che contiene anche 45 strumenti che riflettono la  magnificenza e il gusto continentale dell’antica musica giapponese.

Col XIII secolo le cronache di corte e le novelle si uniscono a un numero crescente di partiture, molti titoli delle quali possono essere fatti risalire al patrimonio dell’Asia orientale, mentre altri mostrano il sorgere di uno stile compositivo originale. La notazione gagaku consta in primo luogo di una serie di “aiuti” per la memoria dell’esecutore, dato che la musica in Giappone viene generalmente insegnata come un fatto sonoro piuttosto che grafico.

L’allievo impara per via orale, attraverso l’insegnamento di un maestro, prima di ‘leggere’ la musica. Il modo in cui viene letta attualmente la musica gagaku può differire notevolmente dalla interpretazione originale.

 Il teatro No, che si sviluppa nei secoli XII e XV, consta di narrazioni epiche e drammi. Le rappresentazioni sono accompagnate dal liuto biwa, e si tengono sui palcoscenici dei sacrari shinto o nei templi buddisti. Kannami Kiyotsugi (1333-83) e suo figlio Zeami Motokiyo (1363-1444) fecero evolvere tali prassi fino a far diventare il teatro No modello dello stile teatrale giapponese assieme al teatro popolare (geino).

Il canto è intonato dagli attori principali (shite o waki) in un coro all’unisono (ji) e nel suono di tre tamburi e un flauto, nel loro insieme noti come hayashi. La musica vocale è detta utai o yokyoku. Si basa su modelli buddisti, sebbene i risultati musicali siano sensibilmente differenti dai canti religiosi buddisti. Presentano regole tonali e melodiche rigorose: l’improvvisazione non è ammessa, benché le diverse scuole interpretino le stesse composizioni in modi diversi e impieghino stili vocali differenti.

Per sottolineare i passaggi tra le sezioni e definirne l’atmosfera, e spesso accompagnare le danze, viene utilizzato il flauto hayashi: quattro melodie stereotipe di otto battute, formatesi durante la lunga evoluzione del teatro No e arrangiate nel modo appropriato alla singola danza; si aggiungono particolari forme melodiche che servono a identificare le danze o le loro sezioni (dan).  Il tamburo taiko accompagna solo la danza. Il suo repertorio è costituito di formule stereotipe che di solito si eseguono secondo un ordine prestabilito, consentendo allo spettatore di intuire gli sviluppi dell’azione.

Un simile sistema organizzativo hanno anche il piccolo kotsozumi e il grande otsuzumi. Oltre a accompagnare la danza, questi due strumenti rappresentano l’essenziale sostegno di gran parte della musica vocale. Per assolvere questa funzione, gli esecutori devono conoscere l’intero testo del brano eseguito, così da poter inserire le adeguate formule ritmiche nel contesto della distribuzione sillabica dell’esecuzione.

Anche se l’improvvisazione non è pratica comune, le varie interpretazioni differiscono notevolmente, a differenza che per i classici della musica occidentale. I tre movimenti jo, ha, kyu (introduzione, sviluppo in varie direzioni, conclusione precipitata) vengono spesso applicati a tratti particolari o a strutture più estese; questa distinzione ternaria risulta utile per la comprensione dell’articolazione della musica giapponese e in particolare di quella che accompagna il teatro del No.

Tra il Secolo XVI e il Secolo XIX, si assiste a una significativa crescita delle forme musicali popolari, in seguito all’estensione delle attività mercantili. Nel campo della musica strumentale, la letteratura per il koto si rinnova e i repertori della scuola Ikuta e Yamada diventano gli stili dominanti. La musica proveniente dal koto è combinata con lo shakuachi, flauto dritto di bambu, col kokyu, un liuto ad arco, e lo shamisen, liuto a pizzico di tre corde, per l’esecuzione di musica da camera (sanyoku). Le composizioni contenevano una linea vocale, ma un repertorio solistico di koto si sviluppò nella cosiddetta forma danmono, in cui le variazioni (dan) generalmente di 104 battute sono costituite a partire da una idea melodica di base.

Come nella musica cinese, la musica giapponese è binaria, costruita su un ritmo doppio, ma con frasi di lunghezza irregolari (cinque o sette misure), mentre quelle della musica cinese sono più regolari. Il ritmo è molto simile a quello della musica araba, balinese, javanese o hindustana, il che significa che è costituito da una sensazione di pulsazione, piuttosto che da una scansione regolare del tempo tramite battiti.

Per lo più monofonica, come tutta la musica orientale, include alcuni elementi di polifonia, come il ritmo delle percussioni, marcatamente indipendente, quando non opposto, contrario a quello delle melodie vocali o strumentali. In maniera simile la musica per voce e koto è caratterizzata da un trattamento eterofonico, molto spesso tramite una peculiare tecnica di anticipazione: lo strumento suona le note chiave della melodia vocale una ottava sotto prima che compaia la voce, e viceversa. Le note armoniche sul koto sono usate con moderazione.

Lo shakuachi è uno strumento rilevante anche per il suo repertorio solistico: è possibile creare il massimo effetto attraverso la accurata manipolazione di un materiale assai ridotto. La tensione musicale viene creata principalmente attraverso l’interruzione della linea melodica sul suono che si trova appena sopra o sotto il suono centrale o la sua quinta: l’attesa della soluzione di un tale passaggio coinvolge nell’ascolto, così come la consapevolezza delle progressioni armoniche o dello sviluppo tematico nella musica occidentale, o delle formule ritmiche del tamburo nel dramma No.

Una delle maggiori fucine di nuovi generi musicali furono i ‘quartieri del piacere’ nelle città del periodo Tokugawa o Edo (1603-1868), in cui le gheishe intrattenevano i clienti. Kouta e hauta, due dei generi lirici più suonati, si ascoltano ancora oggi. Combinandoli con lo joruri, lo stile narrativo drammatico del teatro dei burattini iniziato da Yakemoto  Gidayu (1651-1714), si sviluppò il teatro kabuki a partire dal secolo XVIII,;combinando queste due tradizioni con la pratica strumentale di insieme del teatro No (lo hayashi) e i suoi nuovi generi shamisen, si dette vita a un nuovo stile della musica giapponese.

Attualmente il kabuki utilizza tre generi di musica: un genere narrativo, una musica fornita da un complesso presente sulla scena (debayashi), e quella eseguita da un gruppo fuori scena (geza). Ogni genere della musica per shamisen usa voci diverse e strumenti diversi; i vari generi sono così riconoscibili nell’esecuzione. Nel corso del sec XIX i vari strumenti si svilupparono in repertori concertistici, e attualmente è possibile sentirli in teatri  sale da concerto.

Il Geza (musica fuori scena) è un repertorio per shamisen o combinazioni di percussioni il cui scopo è situare la scena in rapporto al luogo, al tempo, all’atmosfera, all’ora del giorno o al carattere dei personaggi. Nella formula del tamburo del kabuki può esser presente la formula stereotipata del No, ma anche quella più vivace dello Shamisen.

L’uso delle scale yo e in nel periodo Edo riflette l’approccio più specificamente indigeno alla musica di quel tempo, che i moderni teorici giapponesi considerano distinguendo quattro tetracordi di base: minyo, miyako, ritsu, ryuku. Ognuno è contenuto nell’ambito di una quarta giusta, all’interno della quale si trova un differente suono intermedio; quando le melodie usate diventano tetracordi ascendenti e discendenti, da queste strutture nascono scale di sette suoni. Il sistema tetracordale permette di interpretare le modulazioni melodiche anche quando sono disponibili pochi altri rifermimenti.

Col periodo Meiji (1868-1912) si intensificano i rapporti culturali e commerciali con l’estero. Durante questo processo di modernizzazione, la cultura musicale tradizionale soffrì innanzitutto della perdita del controllo economico su di essa da parte del sistema corporativo. La prima irruzione della musica occidentale avvenne attraverso le bande militari e il nuovo sistema di istruzione pubblica: solo i diplomati in musica occidentale entrarono nel sistema di insegnamento, così fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale la musica tradizionale venne esclusa dalla scuola.

La musica popolare presenta una situazione più varia e mobile. Il più conosciuto esponente della nuova espressione della musica tradizionale giapponese fu il suonatore di koto Miyagi Michio, mentre Yamada Kosaku fu il principale fautore della creazione di una opera mista orientale-occidentale nella musica lirica e per orchestra. Dal 1950 la scena musicale giapponese si è popolata di un numero sempre maggiore di compositori, quali Toru Takemitsu, che ha creato una estetica giapponese senza ricorrere a uno specifico stile tradizionale.

martedì 26 febbraio 2013

MUSICA LEGGERA


Viene abitualmente definita con il termine musica leggera, musica pop, pop music (sinonimo inglese), o semplicemente pop, la musica mainstream contemporanea, destinata ad un pubblico vasto quanto più è possibile. L'espressione definisce un tipo di musica di facile ascolto e poco elaborata, spesso ridotta a semplice intrattenimento e destinata al consumo di massa. In effetti, la musica leggera raggruppa in sé un insieme di tendenze musicali affermatesi a partire dal XX secolo, caratterizzate da un linguaggio relativamente semplice e in alcuni casi schematico. La musica leggera è strettamente inserita nel circuito di diffusione commerciale mondiale con incisioni discografiche, video, festival, concerti-spettacolo, trasmissioni e reti televisive e radiofoniche. Se la semplicità del linguaggio musicale e il disimpegno tematico distinguono la musica leggera dalla cosiddetta "musica colta" e underground, la presenza di una vera e propria industria la differenzia dalla musica popolare.

Può sembrare normale considerare la musica leggera come sinonimo di popular music, anche se oggi si tratta di una similitudine non del tutto propria: date le sue caratteristiche peculiari tutta la musica pop è musica popular, ma non è vero il contrario; esiste, in ogni caso, una grande difficoltà a relazionare tali concetti, soprattutto a causa dei continui fraintendimenti che si vengono a creare nel dire comune.

STRUMENTI                                            
- Voce                                
-Pianoforte
-Chitarra classica
-Violino
-Tastiere


Le caratteristiche principali della musica leggera sono:
  • spiccata orecchiabilità
  • utilizzo abbondante della melodia;
  • ritmica semplice e uso di tempi musicali pari (primo tra tutti il 4/4);
  • testi di facile comprensione;
  • sottofondo musicale per lo più scarno o poco elaborato;
  • utilizzo del cosiddetto formato canzone (strofe alternate al ritornello);
  • breve durata dei brani.

sabato 19 gennaio 2013

VIVA VERDI
Nel 2013 ricorre il 200° anniversario della nascita del genio di Busseto. Viva Verdi è uno spettacolo che racconta in modo accattivante e coinvolgente, con la guida di Cesare Bocci nelle vesti di narratore, le trame delle opere della trilogia verdiana: Il Rigoletto, Il Trovatore e La Traviata.
La narrazione, inframezzata dall'esecuzione delle arie più famose di queste opere, insieme a notizie, curiosità e note critiche, unisce il piacere di una bella serata treatrale alla divulgazione popolare dell'opera lirica.

Cesare Bocci, attore eclettico, spazia dal teatro al cinema, affermandosi anche come interprete di importanti serial tv. In teatro ha interpretato oltre 16 spettacoli tra cui i musical La Piccola Bottega degli Orrori, Sweet Charity e La Cage aux Folles (Il Vizietto) con cui, insieme a Massimo Ghini, ha vinto, nel 2012, il premio Flaiano. Il duo Operapop fonde il linguaggio della musica pop con l'esperienza del teatro lirico in un mix di grande vocalità e presenza scenica.





Uno spettacolo, arricchito da notizie, curiosità e note critiche, che unisce alla godibilità artistica un inedito obiettivo di divulgazione popolare
dell’opera lirica.
Saranno sul palco, oltre a CESARE BOCCI nelle vesti di narratore, Il duo lirico “OPERAPOP” coadiuvato da un baritono e da un pianista.
 
Il programma dello spettacolo prevede:
 
TRAVIATA
Brindisi
Di Provenza
Parigi o Cara
Addio del Passato
 
RIGOLETTO
Questa o Quella
Caro Nome
Cortigiani vil razza dannata
La donna è mobile
Morte Gilda
 
TROVATORE
Infida qual voce
di Quella Pira
Il balen del suo sorriso
Che non mi inganna quel fioco


Debutta il 9 gennaio al Teatro La Fenice di Senigallia, Viva Verdi, uno spettacolo che racconta in modo inconsueto le opere di Giuseppe Verdi, nel bicentenario della nascita. In scena Cesare Bocci accompagnato, per la parte musicale, dal duo lirico Operapop e dal tenoreAndrea Pistolesi. La musica sarà rigorosamente dal vivo grazie alla pianista Giuditta Orienti.
Lo spettacolo, prodotto da Musicalbox srl in associazione con Paolo Notari e Massimo Zenobi, sarà poi in tour in tutta Italia