sabato 19 gennaio 2013

VIVA VERDI
Nel 2013 ricorre il 200° anniversario della nascita del genio di Busseto. Viva Verdi è uno spettacolo che racconta in modo accattivante e coinvolgente, con la guida di Cesare Bocci nelle vesti di narratore, le trame delle opere della trilogia verdiana: Il Rigoletto, Il Trovatore e La Traviata.
La narrazione, inframezzata dall'esecuzione delle arie più famose di queste opere, insieme a notizie, curiosità e note critiche, unisce il piacere di una bella serata treatrale alla divulgazione popolare dell'opera lirica.

Cesare Bocci, attore eclettico, spazia dal teatro al cinema, affermandosi anche come interprete di importanti serial tv. In teatro ha interpretato oltre 16 spettacoli tra cui i musical La Piccola Bottega degli Orrori, Sweet Charity e La Cage aux Folles (Il Vizietto) con cui, insieme a Massimo Ghini, ha vinto, nel 2012, il premio Flaiano. Il duo Operapop fonde il linguaggio della musica pop con l'esperienza del teatro lirico in un mix di grande vocalità e presenza scenica.





Uno spettacolo, arricchito da notizie, curiosità e note critiche, che unisce alla godibilità artistica un inedito obiettivo di divulgazione popolare
dell’opera lirica.
Saranno sul palco, oltre a CESARE BOCCI nelle vesti di narratore, Il duo lirico “OPERAPOP” coadiuvato da un baritono e da un pianista.
 
Il programma dello spettacolo prevede:
 
TRAVIATA
Brindisi
Di Provenza
Parigi o Cara
Addio del Passato
 
RIGOLETTO
Questa o Quella
Caro Nome
Cortigiani vil razza dannata
La donna è mobile
Morte Gilda
 
TROVATORE
Infida qual voce
di Quella Pira
Il balen del suo sorriso
Che non mi inganna quel fioco


Debutta il 9 gennaio al Teatro La Fenice di Senigallia, Viva Verdi, uno spettacolo che racconta in modo inconsueto le opere di Giuseppe Verdi, nel bicentenario della nascita. In scena Cesare Bocci accompagnato, per la parte musicale, dal duo lirico Operapop e dal tenoreAndrea Pistolesi. La musica sarà rigorosamente dal vivo grazie alla pianista Giuditta Orienti.
Lo spettacolo, prodotto da Musicalbox srl in associazione con Paolo Notari e Massimo Zenobi, sarà poi in tour in tutta Italia

martedì 8 gennaio 2013


Parte I - Il duello [modifica]

La scena si apre nel palazzo dell'Aliaferia di Saragozza dove Ferrando, capitano delle guardie, racconta agli armigeri la vicenda del figlio minore dell'allora Conte, fratello dell'attuale Conte di Luna, rapito anni prima dalla figlia di una zingara per vendicare la madre giustiziata dal Conte con l'accusa di maleficio; la zingara (Abbietta zingara) aveva poi bruciato il bambino e per questo omicidio i soldati ora chiedono la sua morte. Nel frattempo Leonora, giovane nobile amata dal Conte di Luna, confida a Ines, sua ancella, di essere innamorata di Manrico (Tacea la notte placida), il Trovatore appunto. Il conte, intento a vegliare sul castello, ode la voce di Manrico che intona un canto (Deserto sulla terra). Leonora esce, e confusa dall'oscurità, scambia il conte per Manrico e l'abbraccia. Ciò scatena l'ira del conte, che sfida a duello il rivale.

Parte II - La gitana [modifica]

Ai piedi di un monte, in un accampamento di zingari (coro degli zingari: Vedi le fosche notturne spoglie), Azucena, madre di Manrico, racconta che molti anni prima vide morire sul rogo la madre accusata di stregoneria dal vecchio Conte di Luna (Stride la vampa). Per vendicarsi, rapì il figlio del Conte ancora in fasce e, accecata dalla disperazione, decise di gettarlo nel fuoco; per una tragica fatalità, tuttavia, confuse il proprio figlio col bambino che aveva rapito. Manrico capisce così di non essere il vero figlio di Azucena e le chiede di conoscere la propria identità, ma per Azucena l'unica cosa importante è che lei l'abbia sempre amato come un figlio, protetto e curato proprio come quando tornò all'accampamento ferito dopo il duello col Conte. Manrico confida alla madre di esser stato sul punto di uccidere il Conte, durante quel duello, ma di esser stato frenato da una voce proveniente dal cielo (Mal reggendo all'aspro assalto).
Nella scena successiva il Conte tenta di rapire Leonora che sta per ritirarsi al convento, ma Manrico sventa il rapimento e porta in salvo l'amata.

Parte III - Il figlio della zingara [modifica]

Azucena è catturata da Ferrando e condotta dal Conte di Luna. Costretta dalla tortura e dalle minacce, confessa di essere la madre di Manrico. Il Conte di Luna esulta doppiamente per la cattura. Uccidendo la zingara otterrà doppia vendetta: per il fratello ucciso e su Manrico che gli ha rubato l'amore di Leonora.
Manrico e Leonora intanto stanno per sposarsi in segreto e si giurano eterno amore. Ruiz sopraggiunge ad annunciare che Azucena è stata catturata e di lì a poco sarà arsa viva come strega. Manrico si precipita in soccorso della madre cantando la celebre cabaletta Di quella pira.

Parte IV - Il supplizio [modifica]

Il tentativo di liberare Azucena fallisce e Manrico viene imprigionato nel palazzo dell'Aliaferia: madre e figlio saranno giustiziati all'alba. Nell'oscurità, Ruiz conduce Leonora alla torre dove Manrico è prigioniero (Timor di me?... D'amor sull'ali rosee). Leonora implora il Conte di lasciare libero Manrico: in cambio è disposta a diventare sua sposa (Mira, d'acerbe lagrime). In realtà non ha alcuna intenzione di farlo: ha già deciso che si avvelenerà prima di concedersi. Il Conte accetta e Leonora chiede di poter dare lei stessa a Manrico la notizia della liberazione. Ma prima di entrare nella torre, beve, di nascosto, il veleno da un anello. Intanto, Manrico e Azucena sono in attesa della loro esecuzione. Manrico cerca di calmare la madre, terrorizzata (Ai nostri monti ritorneremo). Alla fine, la donna si addormenta sfinita. Giunge Leonora ad annunciare la libertà a Manrico e ad implorarlo di scappare. Ma quando egli scopre che lei, la donna che ama, non lo seguirà, si rifiuta di fuggire. È convinto che per ottenere la sua libertà Leonora l'abbia tradito, ma lei, nell'agonia della morte, gli confessa di essersi avvelenata per restargli fedele (Prima che d'altri vivere). Il Conte, entrato a sua volta nella prigione, ascolta di nascosto la conversazione e capisce d'esser stato ingannato da Leonora, che muore fra le braccia di Manrico. Il Conte ordina di giustiziare il trovatore. Quando Azucena rinviene, egli le indica Manrico morente, ma pur nella disperazione la donna trova la forza di rivelare al Conte la tragica verità: «Egli era tuo fratello» e mentre viene tratta a morte può finalmente gridare: «Sei vendicata, o madre!».

Trasposizioni cinematografiche 


Il trovatore è un'opera di Giuseppe Verdi rappresentata in prima assoluta il 19 gennaio 1853 al Teatro Apollo di Roma. Assieme a Rigoletto e La traviata fa parte della cosiddetta trilogia popolare.
Il libretto, in quattro parti e otto quadri, fu tratto dal dramma El Trovador di Antonio García Gutiérrez. Fu Verdi stesso ad avere l'idea di ricavare un'opera dal dramma di Gutiérrez, commissionando a Salvadore Cammarano la riduzione librettistica. Il poeta napoletano morì improvvisamente nel 1852, appena terminato il libretto, e Verdi, che desiderava alcune aggiunte e piccole modifiche, si trovò costretto a chiedere l'intervento di un collaboratore del compianto Cammarano, Leone Emanuele Bardare. Questi, che operò su precise direttive dell'operista, mutò il metro della canzone di Azucena (da settenari a doppi quinari) e aggiunse il cantabile di Luna (Il balen del suo sorriso - II.3) e quello di Leonora (D'amor sull'ali rosee - IV.1). Lo stesso Verdi, inoltre, intervenne personalmente sui versi finali dell'opera, abbreviandoli.
La prima rappresentazione fu un grande successo: come scrive Julian Budden, «Con nessun'altra delle sue opere, neppure con il Nabucco, Verdi toccò così rapidamente il cuore del suo pubblico».[1]
Interpreti di quel fortunatissimo debutto furono:[2]